Introduzione
I grandi cambiamenti che si sono via via prodotti nel corso degli ultimi decenni hanno modificato i sistemi di riferimento e di interpretazione del mondo contemporaneo. Allo stesso tempo, la riflessione sul futuro delle nostre società e sulla civiltà si sta facendo sempre più urgente. Per un mondo globalizzato come il nostro, è necessario non soltanto individuare le tendenze che ne orientano i cambiamenti ma anche intervenire attraverso processi di innovazione, avanzando così nella configurazione di un nuovo orizzonte.
Oggi assistiamo a una situazione complessa: una forte asimmetria tra un mondo sempre più complicato e, parallelamente, un deficit di prospettiva e di governance del pianeta. E se tali cambiamenti hanno sollecitato in pochi decenni la mappa del mondo, oggi è difficile stabilire le cartografie del nostro futuro, tanto quelle relative alle grandi innovazioni tecnologiche quanto le trasformazioni geopolitiche ed economiche del mondo attuale. In un recente seminario al Birbeck College di Londra l’analisi puntava a un’attività esplorativa di tale futuro: Mapping throught Thinking, vale a dire, la necessità di costruire un pensiero nuovo partendo da un sistema aperto di osservazione sul mondo attuale. A tal scopo era urgente costruire un punto di vista più globale e in grado di mettere insieme le diverse discipline. Oggi possiamo individuare i limiti di quei saperi il cui focus si è via via ristretto a problemi eccessivamente definiti e isolati. Abbiamo bisogno di recuperare una prospettiva ampia se vogliamo essere validi interlocutori del nostro tempo.
In questo senso quando parliamo del futuro di IED, delle sue strategie e dei suoi obiettivi, siamo tutti d’accordo al momento di individuare campi fondamentali su cui esplorare le possibili forme di ricerca e professionalizzazione. Senza dubbio, oggi è urgente affrontare una riflessione su Tecnologia, Business, Ambiente e Servizi. Sono i grandi ambiti di trasformazione a partire dai quali va avviata una riflessione sul futuro dell’Istituto. Tenendo conto, però, che tutti questi ambiti vanno pensati in modo articolato, costruendo un modello in cui tutti rendano possibile il nuovo progetto.
Nel 1944 Karl Polanyi pubblicava a New York The Great Transformation, un libro affascinante che con grande passione intellettuale dialogava con un’epoca che viveva uno dei suoi momenti più drammatici, la fine della Seconda guerra mondiale. Rileggendolo oggi ci troviamo di fronte proprio a quel modello di lettura capace di riunire nel suo focus la complessità di piani e varianti fondamentali sui quali definire i processi futuri di trasformazione dell’epoca. È strano osservare come anni più tardi, nel 1957, Daniel Bell a Harvard e Alain Touraine a Parigi, senza nemmeno conoscersi, scrivevano la stessa opera: The postindustrial Society e La Societé postindustrielle. Entrambe condividevano la stessa ansia e la stessa urgenza: dar conto di tutti quei cambiamenti che dal loro punto di vista trascendevano i modelli economici e sociali, e che tracciavano il solco di un cambiamento nella civiltà. Un sentimento condiviso da intellettuali e artisti, da politici e analisti. Oggi ha un carattere visionario il progetto che un anno prima, nel 1956, Peter e Alice Smithson con i loro amici costruirono alla Whitechapel Gallery col titolo This is tomorrow. E fu sempre allora che un altro visionario, Marshal McLuhan, con il suo Global Village collocò nell’orizzonte dell’epoca quelle trasformazioni relative alle nuove tecnologie della comunicazione che daranno come risultato l’emergere della società dell’informazione e della conoscenza.
Se proseguiamo questo dialogo tra la grande tradizione moderna dell’innovazione e il progetto, da un lato, e dall’altro la complessità del nostro tempo, possiamo osservare come il campo del Design sia mutato profondamente. Partendo da questa complessità, è possibile osservare come nel corso degli ultimi anni si sia prodotta una progressiva espansione dell’ambito teorico e operativo del Design. I suoi programmi hanno assunto una definizione da un rapporto permeabile alle grandi trasformazioni dei sistemi di vita della società postindustriale, caratterizzati soprattutto dall’omologazione culturale e dall’internazionalizzazione della produzione.
È fondamentale, in merito, tenere in considerazione come le fasi della crescente globalizzazione non debbano essere intese soltanto con approcci economici e politici, ma anzi che alla fine sono gli aspetti culturali quelli che finiscono per definire il vero spettro di conseguenze o effetti. Oltre alla comunicazione e al mercato (i due veri agenti del processo di mondializzazione) va individuata la generalizzazione di nuovi cultural pattern, che finiscono per definire i nuovi modelli di riferimento simbolico sui quali si costruiscono i processi di identità e differenza del mondo contemporaneo.
In effetti, sono questi i contesti problematici su cui si interroga l’attuale cultura del progetto. Si tratta di riconoscere una complessità iniziale nella quale si danno la mano tutte le varianti che soggiacciono al progetto. Bisogna partire da una dimensione di riflessione sulle condizioni culturali, sociali, antropologiche delle società contemporanee, dell’individuo, della sua identità e delle derivazioni sempre più complesse del suo inserimento sociale e dei modelli culturali di pertinenza. Sarà così che farà la sua comparsa un nuovo spazio di relazioni molto più complesso e con il quale il Design deve dialogare.
Di certo, un progetto può essere inteso come un’invenzione che risponda a un problema culturale, qualunque sia la sua dimensione o particolarità. Il Design deve intervenire nei nuovi spazi, costruendo nuove relazioni, nuove risposte. Drasticamente, il Design va inteso come un esercizio utopico, un frammento di futuro che avviene senza rispettare il trascorrere del tempo. Altre volte, il Design deve mediare tra le diverse circostanze, articolando i contesti, rispondendo alle condizioni d’uso come anche al sistema di funzioni previste. Si tratta di un equilibrio misurato, intelligente, nel quale si trova la passione civica accanto al gioco creativo, all’idea, che va dalla produzione dei nuovi oggetti ai futuri sistemi di servizio.
Questa filosofia deve guidare i processi che IED svilupperà nel suo futuro, in un dialogo aperto con le condizioni del nostro tempo. È molto importante che questo dialogo attraversi tutte quelle condizioni che hanno a che fare con la formazione e la professionalizzazione dei nostri studenti. Tutti i sistemi formativi sono profondamente messi in discussione. La società dell’informazione e della conoscenza ha trasformato i processi di apprendimento e di acquisizione di competenze. La professionalizzazione è esposta a processi aperti che costruiscono in modo permanente i loro sistemi trasversali di interscambio delle conoscenze. Più di prima, le nostre Scuole devono essere veri e propri Laboratori, nei quali la sperimentazione sia alla base del processo di apprendimento. Soltanto in condizioni di elevate competenze potremo essere competitivi.
Ma c’è anche dell’altro, che deve risultare centrale per le nostre preoccupazioni strategiche. Solo due anni fa la Cambridge University nel suo Rapporto annuale sull’Università e l’istruzione diceva che la cosa più urgente era pensare e definire le nuove professioni, le professioni del futuro. Continuiamo a essere debitori di modelli nati nei contesti della Rivoluzione industriale.
Oggi è cambiato tutto e, fortunatamente, il dibattito contemporaneo sulle professioni e sulla formazione è già un dibattito aperto che alcuni Istituti politecnici stanno sviluppando con grande successo, alla stregua di altri istituti universitari. Spetta a IED sviluppare una propria strategia nella quale partecipi tutta la sua comunità.
Il Design è dunque uno degli strumenti più rilevanti nel processo di costruzione delle nuove forme della cultura. Quanto ai suoi propositi, appartiene di diritto alla cultura del progetto. Quanto alle sue applicazioni, è il momento in cui si decidono tutti quegli elementi che modernizzano e trasformano non soltanto i suoi usi ma anche le idee, i gusti, le forme di percezione e persino le necessità. Ogni riflessione sul Design finisce per essere una riflessione sulle tendenze della cultura e dei suoi progetti. Intervenire in questi processi è una delle responsabilità di chi fa suo il compito della costruzione delle società del futuro.