Ambiente
Dal rapporto Limits to Growth, pubblicato dal Club di Roma nel 1972, nel quale per la prima volta si postulava una consapevolezza sull’urgenza di proteggere e difendere il clima del pianeta di fronte a situazioni che potevano già essere sintomatiche di un deterioramento globale, al cosiddetto Rapporto Brundland del 1987, Our Common Future, o ai rapporti delle conferenze di Rio, Tokyo e Parigi, una consapevolezza estesa a livello planetario oggi è un riferimento etico non negoziabile per la cultura del progetto. Si può affermare che ciò è stato uno dei traguardi etici più importanti degli ultimi decenni: dare spazio in qualsiasi tipo di analisi alla componente ambientale e a quella che si è giunti a chiamare sostenibilità nelle sue diverse declinazioni.
La consapevolezza della limitatezza delle risorse del pianeta è relativamente recente; negli anni 60 cominciò a prendere forma un fenomeno culturale e antropologico che è stato declinato in un’ampia gamma di posizioni, da quelle negazioniste dell’amministrazione Trump alla Deep Ecology di Arne Ness. Tuttavia, ciò non ha impedito che l’idea dell’ambiente penetrasse nei diversi luoghi di dibattito e che le risorse destinate a sensibilizzare sull’argomento crescessero rapidamente, seppure sia vero che alcune questioni come la ripartizione delle risorse disponibili, all’atto pratico, non compaia nella discussione.
Oggi è possibile osservare vari processi in corso. Da un lato, ogni giorno compaiono nuove norme e leggi che finiscono per essere male e poco applicate. Da un altro lato, le imprese utilizzano commercialmente la sostenibilità, di rado in modo integerrimo, ma con effetti pratici concreti. Infine, si potrebbe segnalare una cultura dell’organico, una maggiore attenzione preventiva alla salute, alle risorse idriche, alla protezione della biodiversità.
Si potrebbe affermare che l’ambiente non costituisce un “tema” di per sé, piuttosto è riferito a un atteggiamento verso il mondo e verso la società, a una questione di diritti e di rispetto delle generazioni che verranno. Ovviamente, tale questione possiede dimensioni scientifiche, tecnologiche, economiche e così via il cui fondamento, in sostanza, è etico. L’ambito de “l’ecologicamente corretto” può essere declinato in molti modi possibili, dall’eremita zen alla consapevolezza che i batteri geneticamente modificati saranno in grado di risolvere il problema della plastica che invade gli oceani. D’altro canto, sembra restare ancora irrisolta la questione economica, la questione su chi debba affrontare i costi, mentre il fattore tempo, con il suo impatto sulla coscienza e sull’istruzione, sposta progressivamente l’ago della bilancia dalla prospettiva degli interessi economici all’imponderabilità della coscienza sociale.
Il rapporto tra il Design e l’Ambiente è, da un lato, un rapporto culturale nel senso che la sostenibilità oggi è una componente fondamentale di qualunque progetto considerato “corretto”; dall’altro, questo rapporto implica anche competenze e conoscenze specifiche con le loro rispettive domande: economia circolare, riciclo e riutilizzo, economia solidale e così via. Scienza e tecnologia sono alleate fondamentali nella battaglia ecologica e il Design, con le sue capacità di articolazione, può giocare un ruolo importante.
Andrebbe anche segnalata l’esistenza e la crescita corrente di un’industria legata all’ambiente. La scuola dovrebbe articolare una proposta sull’ambiente con una narrativa chiara e comprensibile; i concetti li conosciamo, bisognerebbe lavorare direttamente sull’organizzazione e la visualizzazione.
Lo IED deve essere pioniere nella difesa dei principi della sostenibilità e nei suoi sistemi formativi, principi che devono occupare un posto strategico. I processi formativi devono essere orientati da tali principi, trasformando così il Design in uno degli agenti attivi nella lotta per la difesa del pianeta. Da qui discende una lunga riflessione sugli oggetti del futuro, sul modello civile, sui modelli di vita e sui tipi di società. Un insieme di questioni che abbracciano problematiche aperte che oggi sono già fondamentali nel quadro delle riflessioni sul futuro.
Questa prospettiva rimanda a una problematica più ampia e che trascende l’ambito del Design ma che lo articola in modo efficace: la necessità di pensare la problematica del Design partendo dall’idea del Common, quel bene comune non negoziabile e che diventa la garanzia necessaria di una storia umana in accordo con la dignità umana e i diritti dell’umanità. Si tratta di pensare tanto la cultura del progetto quanto i processi di formazione da una prospettiva cosmopolitica e critica.