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Il Futuro dello IED

  • Position Paper
  • "Verso un nuovo IED"
  • Numero 01 - 8 Giugno 2018
Comitato Scientifico
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Cinquant’anni di storia dello IED sono una lezione molto concreta che contempla aspetti teorici del progetto e momenti empirici di trasformazione della conoscenza in “sapere e saper fare”. Dove per “conoscenza” si intende, in genere, la capacità di dare delle risposte a delle domande, e per “sapere” la capacità di orientarsi, organizzarsi e scegliere la migliore tra le tante risposte progettuali possibili. Su questa solida base è possibile approfondire alcuni temi rimasti nelle pieghe dello sviluppo dell’Istituto, e altri che riguardano le scelte strategiche per una reale differenziazione qualitativa dello IED rispetto ai suoi competitori.

Una prima questione è dovuta al sovvertimento degli spazi territoriali e sociali posti dalla globalizzazione e dalla strategia di sviluppo internazionale dello IED. Questione di relativa complessità per lo IED in Italia, perché gli studenti “stranieri arrivano per non restare”, di reale complessità quando è lo IED che va negli altri Paesi come “straniero che resta”. Certo, si va per fare business ma con quale atteggiamento culturale: per affermare l’identità e i valori culturali italiani che lo IED ritiene utili in quel Paese? O per acquisire attraverso il suo metodo una nuova identità “meticcia” che gli permetta di dialogare nel nuovo contesto? Quest’ultima ipotesi sembra alla prova dei fatti la più credibile, però è una questione mai affrontata (almeno ufficialmente), che richiede chiarezza, perché implica scelte operative e modalità chiare e comunicabili che rappresentano, oltretutto, scelte valoriali che fanno la differenza.

Lo IED in Brasile, per esempio, è una case history interessante perché dopo anni un po’ travagliati, oggi tenta di unire il meglio della tradizione e di una cultura sofisticata come quella del Design italiano con la vitalità e l’originalità intrinseca del Brasile, e questo è un discorso sulla globalizzazione, sui nuovi colonialismi dell’ipertecnologia e sulla necessità che ognuno nel mondo globale si assuma le sue responsabilità e si disegni la sua società e la sua forma di democrazia.

In questo senso una identità “meticcia” appare la più coerente per una scuola internazionale e interculturale che deve avere molto chiaro quali sono i suoi confini e quelli delle diverse identità in campo, per avere un’idea strategica altrettanto chiara, e per realizzare un progetto fattibile (non assoluto) nelle condizioni date. Tanto più che in termini di formazione lo IED ha una storia premiante, mediamente soddisfacente e al di sopra delle aspettative degli studenti che possiamo definire in due aspetti: il primo è di tipo ludico (gli studenti apprendono e si divertono), il secondo è la consapevolezza che la scuola ha dato loro gli strumenti per abitare il loro presente.

Una nuova cultura dello IED è possibile nella chiarezza teorica e programmatica di un nuovo paradigma culturale (il meticciato: prodotto dal suo stesso sviluppo) e dalla sua interazione con l’attivazione della rete relazionale dello IED (alumni) che permetterà di utilizzare al meglio il patrimonio di saperi esistenti (migliaia di docenti e ex studenti) su progetti culturali di grande respiro.

Anche il cambiamento della struttura didattica esistente verso una più profonda relazione con il mondo reale è parte di questa nuova cultura dell’Istituto. Attualmente esiste una piccola componente sperimentale nella didattica e una relazione con le imprese di tipo funzionale-economico, che opera lateralmente alla didattica stessa. La maggiore integrazione con le imprese e la sperimentazione devono diventare i futuri pilastri dello sviluppo dello IED, e per questo pensiamo a uno IED dove le diverse scuole abbiano momenti di forte tangenza e dove i laboratori non siano isole a parte, ma integrati e al centro della scuola, e dove le diverse modalità del fare e del creare siano il più possibile inter-relazionali. Qualcosa di molto simile al modello della bottega rinascimentale.

Lo stesso e-learning rivolto a una nuova platea di fruitori, e come integrazione e potenziamento delle scuole dello IED, sembra ormai un fatto ineludibile pur tenendo presente la distinzione tra conoscenza codificata trasmissibile con strumenti tecnologici, e conoscenza tacita trasmissibile solo personalmente dal docente.

Si può ipotizzare l’uso dei laboratori anche per questa nuova modalità formativa che comporta insieme lontananza e vicinanza. Il laboratorio deve assumere maggiore centralità per sperimentare e ricercare con un nuovo metodo didattico dialogico (centrati sull’allievo) e non più trasmissivo (centrato sul docente). Questa diversa impostazione della didattica implica notevoli approfondimenti, ma potrebbe essere una chiave del futuro dello IED.

In un tempo brevissimo la tecnologia e la finanza hanno cambiato l’orizzonte di riferimento di una realtà davvero difficile da interpretare, e insieme hanno cambiato radicalmente anche ruolo e importanza di molte discipline come ad esempio la Biologia e il Design. Quest’ultimo aveva già teorizzato l’uscita dall’angusto ambito della produzione di manufatti, ma di fatto la sua vera emancipazione è avvenuta in anni molto recenti. Certo, il Design è portatore di una cultura democratica che fa molta attenzione alle istanze che provengono dal basso, ma forse la vera ragione è nell’estensione dell’idea di progetto a tanti ambiti diversi che coinvolgono saperi disciplinari altrettanto diversi. In questo senso è necessaria una riformulazione “politica” del Design, una nuova utopia che ci permetta di visualizzare il futuro e l’utilizzo di strumenti che 50 anni fa non eravamo in grado neanche di immaginare. I giovani che studiano allo IED sono il motore di questo cambiamento e noi dobbiamo indicargli la strada. Questa nuova utopia che presenta un orizzonte comune a tutte le discipline si chiama “Ambiente”. E l’interdisciplinarità del Design, il suo metodo insieme razionale e intuitivo, la sua estensione processuale, che hanno allargato a dismisura il suo campo d’azione appare come la disciplina più idonea per perseguire questa utopia.

In tal senso una mappatura complessiva dei “vecchi” e nuovi ambiti del Design sarebbe utile per capire quali criteri formativi adottare. In questa ottica la questione della scuola della sostenibilità (in tutte le sue declinazioni e non solo quella ambientale) potrebbe essere un’iniziativa all’avanguardia, se fatta rigorosamente e non come operazione di solo marketing.

Considerato che la macchina IED funziona, si possono ipotizzare interventi innovativi secondo priorità condivise con il CdA. Ad esempio, un primo intervento potrebbe essere sulle modalità didattiche delle diverse sedi adeguando l’esistente alle nuove prospettive, e un secondo intervento più radicale per affrontare temi fondativi e strategici rispetto un possibile futuro comparato con quanto già esiste nel mondo. Disegnare l’affresco di ciò che vogliamo essere domani, in collaborazione con tutte le diverse istanze dello IED, riteniamo essere la funzione propositiva del Comitato Scientifico IED.

Pensiamo a uno IED dove le diverse scuole abbiano momenti di forte tangenza e dove i laboratori non siano isole a parte, ma integrati e al centro della scuola, e dove le diverse modalità del fare e del creare siano il più possibile inter-relazionali. Qualcosa di molto simile al modello della bottega rinascimentale